Il concetto del Se’ nelle principali teorie psicologiche




Il concetto del “Se” rappresenta un punto di partenza fondamentale per poter analizzare e comprendere l’agire umano. Tale concetto, spesso sovrapposto a quello di Identità personale, esprime l’unicità di ogni persona, i suoi sentimenti di individualità e d’intenzionalità nell’azione, ed anche la capacità di avere coscienza e conoscenza dei propri comportamenti.

Come riportano ampiamente gli studi sull’argomento, il Se’, quale forma organizzata e del tutto soggettiva di sentirsi al mondo e di percepire il proprio rapporto con il mondo, ha origine, si organizza e si struttura  nel corso delle interazioni con l’esterno e con gli altri. Il Sé ha il ruolo di guida del comportamento e di organizzazione dell’esperienza passata entro categorie di conoscenza omogenee e funzionali.

U. Galimberti (1992) nel suo Dizionario di Psicologia, individua tre significati fondamentali del concetto di Se’:

1.   nucleo della coscienza autoriflessiva;

2.   nucleo permanente e continuativo nel corso dei cambiamenti somatici e psichici che caratterizzano l’esistenza individuale;

3. totalità delle istanze psichiche relative alla propria persona in contrapposizione alle relazioni oggettuali.

Nel campo della Psicologia il termine “Sé” acquista significati diversi a seconda delle varie impostazioni teoriche. Un accenno ad essi potrà essere utile per focalizzare il discorso.


William James (1890), iniziatore del pragmatismo americano, formulò una teoria del Self, nella quale opera una distinzione tra l’Io, che conosce, e l’empirico Me. Nel Se’ (o Me generalizzato) indica tre componenti : il Se’materiale (coscienza del proprio corpo e del proprio ambiente); il  Se’sociale (immagine che ciascuno presume che gli altri abbiano di lui nonché norme e valori sociali concernenti una comune visione del mondo) e il Se’spirituale (autoconsapevolezza).

In seguito gli studi si sono sempre più incentrati su un approccio integrato, che tenesse conto dei molteplici aspetti che partecipano alla costruzione del Se’, riconoscendo ad esso una valenza sempre più interpersonale piuttosto che intrapersonale.

G.W. Allport (1961), a tal proposito, formula questo esempio: “supponiamo che voi dobbiate affrontare un esame difficile e critico. Senza dubbio sentirete un’alterazione  nel battito del vostro polso e dei disturbi allo stomaco (Se’corporeo); inoltre sarete consapevoli del significato di quell’esame rispetto al vostro passato e al vostro futuro (identità personale), della vostra orgogliosa partecipazione (autostima), di ciò che il successo o il fallimento significherebbe per la vostra famiglia (estensione del se’), delle vostra speranze o aspirazioni (immagine di se’), del vostro ruolo di risoluzione dei problemi in esame (agente razionale), e della pertinenza dell’intera situazione per i vostri fini a lunga scadenza (tendenza del proprium)..

Nell’ottica dell’interazione individuo-società G.H.Mead (1934), uno tra i primi teorici sociali, spiega che il concetto del Se’ relativo ad un individuo (self) è, nell’insieme, un riflesso delle opinioni  comunicate da altri significativi, come se la società fornisse uno specchio in cui l’individuo scopre la sua immagine, o una definizione di se’ (Se’ autoriflettente). Su tale esperienza l’individuo supporta la propria autostima. Per Mead, all’origine del “Se’”, non c’è un Io costituito precedentemente alla sua vita sociale, né il dato sociale è assunto come un meccanismo che giochi con processi di imitazione e di semplice influenzamento. L’Io e società sono visti in un processo dinamico di interazione reciproca per cui il Se’ è il risultato di un continuo confronto tra il giudizio degli altri sulla nostra individualità ( il nostro Io che agisce) e la personale rielaborazione del proprio esperire (il Me che osserva e valuta).

Per C.G.Jung (1921) il Se’ rappresenta un punto di organizzazione che tende all’integrazione e alla maturità dell’individuo; più precisamente, il Se’ è il centro di equilibrio tra istanze consce ed inconsce. “In altri termini, il Se’ abbraccia ciò che è oggetto d’esperienza e cio’ che non lo è, ossia ciò che è ancora non è rientrato nell’ambito dell’esperienza” (1996, p.477).  Il Se’, che raramente è in uno stato d’equilibrio, si manifesta nella sua instabilità nei simboli onirici. Pertanto il lavoro sui sogni di Jung tende all’individuazione e all’integrazioni di quelle parti del se’ nascoste in noi.

Nel contesto delle teorie psicoanalitiche si è sviluppata l’area della Psicologia del Se’, formulata ed elaborata nei termini attuali da Heinz Kohut. Tale impostazione, nata dagli studi su pazienti non ospedalizzati con disturbi narcisistici, vede il Se’ come un sistema organizzato dei ricordi, intesi come rappresentazioni di se’, centro dell’esperienza e principale istanza motivazionale all’azione. Nell’analisi dei casi, Kohut  rilevò che i pazienti erano estremamente vulnerabili e condizionabili dalle opinioni negative delle altre persone significative. Nella relazione con l’esterno, quindi, noi abbiamo bisogno di risposte convalidanti ed empatiche da parte degli altri, vissuti più con funzione di oggetti/se’ che di persone separati, i quali rappresentano fonte di gratificazioni per il Se’. L’individuo in tal modo può sperimentare un senso di valore del proprio se’, oppure un’esperienza di un se’ difettoso o carente.

Nell’ultima teorizzazione (1984) Kohut immagina un Se’tripolare nel bambino; individua in lui, cioè, bisogni narcisistici di: 1) rispecchiamento (approvazione della perfezione approvata al proprio Se’ grandioso-esibizionistico, dalle quali possono scaturire ambizioni sane), 2) di idealizzazione (perfezione attribuita all’”imago parentale idealizzata” da cui provengono ideali e valori) e 3) gemellarità (desiderio fusionale che gradualmente si trasforma in comportamento imitativo).

L’obiettivo della terapia nella Psicologia del Se’ è rappresentato dalla coesione del se’ così che “ la Psicologia del Se’ sta cercando di dimostrare (…) che tutte le forme di psicopatologia si basano su difetti presenti nella struttura del Se’, deformazioni o debolezza del Se’. Sta cercando anche di mostrare che tutte queste pecche del Se’ sono dovute a disturbi delle relazioni Se’/oggetto-Se’ nell’infanzia (1984, p.80). In tal senso l’angoscia fondamentale è rappresentata dall’ angoscia di disintegrazione, ovvero dalla paura che il proprio se’ si possa frantumare di fronte a risposte inadeguate da parte dell’oggetto-se’, rappresentato specialmente dalle figure genitoriali. Tanti comportamenti disfunzionali patologici riflettono, pertanto, un tentativo in situazioni di emergenza di ristabilire la coesione interna e l’armonia di un Se’ vulnerabile e poco sano. Nella terapia, il terapeuta cerca di empatizzare con il paziente tentando di andare incontro al suo bisogno di affermazione (transfert speculare), di idealizzazione (transfert idealizzante) e o di essere come il terapeuta  (transfert gemellare) .

      Di grande supporto a questa teoria furono le tesi di Stern (1985) circa la sana evoluzione nel bambino del senso di Se’ che si attua mediante una sensibile armonia affettiva con chi si prende cura di lui. Egli analizzò la qualità dell’interazione nei primi anni di vita e la crescita di Se’, individuando nell’azione di rispecchiamento che l’adulto compie nei confronti del piccolo, una funzione cruciale del suo sviluppo. Infatti, il bambino sin dalla nascita si trova inserito in un sistema di relazioni sociali che si fondano su aspettative reciproche.

Stern descrisse cinque separati sensi di Se’ intesi come proprietà diverse dell’esperienza di Se’:

-Se’ emergente o corporeo –dalla nascita ai 2 mesi;

-Se’ nucleare-dai 2 ai 6 mesi;

-Se’ soggettivo-dai 7 ai 9 mesi;

-Se’verbale o categoriale-tra i 15 e i 18 mesi;

-Se’ narrativo-tra i 3 e i 5 anni).

Egli individuo’, inoltre, 4 caratteristiche essenziali del senso del Se’ quali la coerenza, l’affettività, l’attività e la continuità (o storicità).

Condivide la teoria del Se’ O. Kernberg, che ne elabora una nuova prospettiva teorica, partendo dallo studio di soggetti ospedalizzati borderline, affetti da patologia narcisistica del se’. Nel suddetto modello, Kernberg spiega che il Sé diviene patologicamente grandioso come difesa contro l’investimento negli altri ed in particolare contro la dipendenza dagli altri.

La grandezza del sé del narcisista lo induce a pensare che egli può manipolare gli altri mediante il suo fascino ed usa le altre persone esclusivamente come mezzo di autoaffermazione. Il paziente narcisista non ha capacità di comprensione delle problematiche altrui perché l’unica cosa che gli interessa è il suo microcosmo, non avendo alcuna sensibilità nei confronti delle relazioni esterne. Nell’ambito della terapia il paziente narcisista è spesso portato a contrastare il terapeuta al fine di impedire il successo della cura. Il terapeuta viene relegato ad una “esistenza satellite”, egli esiste per il paziente esclusivamente come spettatore delle problematiche esposte. Ciò richiede al  terapeuta una forte capacità  di comprensione e di controllo delle sensazioni di inutilità  che questo atteggiamento tende ad ingenerare. Inoltre, nel trattamento, il paziente può manifestare l’invidia della parte buona che incarna il terapeuta , parte buona che a lui  manca.

Il sé grandioso del narcisista si può definire generalmente integrato ma patologico, costituito cioè da una fusione del sé ideale, dell’oggetto ideale e del sé reale, avente un andamento regolare, appunto integrato, mentre il tipo borderline  è caratterizzato da una rappresentazione del sé mutevole, mai uguale, che può cambiare di giorno in giorno. L’Io in questi casi è debole, e si presenta con scarso controllo dell’ansia e dell’emotività, quindi degli impulsi in generale.

Sempre nella prospettiva della psicoanalisi sociale anche Karen Horney si interessò del Se’, distinguendo un Se’ attuale, un Se’ reale, e un Se’ idealizzato.

Il Se’ attuale è l’intera persona che agisce in un dato momento, il Se’ reale rappresenta il potenziale di crescita e di sviluppo ulteriori e il Se’ idealizzato è l’identificazione con un’immagine idealizzata di Se’ a cui il nevrotico ricorre per difendersi contro il riconoscimento della discrepanza tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. In “Nevrosi e sviluppo della personalità” (1950) la Horney indica che un’identificazione completa con il se’ ideale comporta il rifiuto del Se’ attuale con conseguenti sentimenti di autodisprezzo e dipendenza da altre persone su cui l’immagine idealizzata di Se’ è formata.

Del Se’ parlano ancora altri autori quali Harry Stack Sullivan (1953), che pone l’accento sulle relazioni interpersonali e indica nel Sistema del Se’, i tratti costanti e definitivi della personalità generati soprattutto nel rapporto genitori–figli. In questa visione la personalità diviene la risultante delle relazioni interpersonali  che hanno scandito l’esperienza dell’individuo.

Un altro autore che tratta del Se’ è Erich Fromm (1962) il quale, nella sua concezione psicologica, guarda con grande interesse ad un “vero Se” che racchiude tutte le potenzialità dell’individuo possibili, da sviluppare in un  contesto culturale e sociale favorevole.

Nell’ambito della Psicologia Umanistico-Esistenziale, il Sé viene considerato non come una componente psichica, ma come un processo di autorealizzazione dell’essere umano che costituisce la vera motivazione del comportamento. R.May parla di self-relatedness (1967) come la più importante capacità dell’uomo: si afferma la centralità dell’uomo che viene arricchita o compromessa dall’interrelazione con altri esseri umani, ma a cui pur sempre tutto si riferisce. A.H. Maslow (1970) autore di una teoria gerarchica della motivazione, guarda alla personalità come una totalità di bisogni e desideri che condizionano il rapporto dell’individuo con l’esterno. Per quest’autore, quindi, esiste una realizzazione del sé che prescinde dai vari ruoli pubblici che l’uomo deve rivestire nella società. J.L. Moreno in questo contesto crea una tecnica detta dello “psicodramma”  tendente alla compensazione degli aspetti deficitari del sé. Carl Rogers (1951), infine, teorizzatore della “terapia non direttiva” pone l’attenzione sulla tendenza attualizzante (autorealizzazione del proprio se’) dell’individuo che lo induce a sviluppare le proprie capacità in una direzione che permette di mantenere, migliorare o accrescere l’organismo.Tale tendenza rappresentativa dei comportamenti dell’individuo costituisce il nucleo fondamentale della struttura della personalità.

Anche nella Psicologia Comportamentista esiste la dualità tra il Sé-fenomenico, cioè il Sé di cui il soggetto è consapevole, ed il Sé-inferito, cioè il Sé percepito dall’osservatore esterno. Il Comportamentismo centra l’attenzione sul Sé-inferito in quanto l’immagine del Sé risultante da ciò che ciascuno pensa di sé è molte volte alterata dall’inconscio.

La Psicologia Cognitivista, invece, pone l’accento non sul Sé, ma sulle idee che formano la concezione del Sé, su ciò che vorremmo o dovremmo essere: si tratta delle autoimmagini , cioè delle convinzioni su ciò che noi siamo, su ciò che siamo capaci di fare, su ciò che siamo disposti a fare, convinzioni che tiriamo fuori al momento di decidere o fare qualcosa. Neisser (1988,1989), in particolare, inquadra la cognizione e i processi del Se’ in un’ottica ecologica. “in sintesi , secondo Neisser la conoscenza che ciascuno ha di se stesso deriva da informazioni che vanno a formare i cinque modi in cui si articolan il se’: 1) the ecological self o se’ ecologico, il quale coincide con l’autoconoscenza specificata dall’informazione pesente nel mondo fisico immediatamente circostante; 2) the interpersonal self o se’ interpersonale, che si costituisce precocemente sulla base dei rapporti connotati in senso affettivo-emotivo ed evolve sulla base dei rapporti di comunicazione umana; 3) the extended self o se’ esteso, legato alla memoria autobiografica ma che si proietta anche nel futuro mediante un processo di anticipazione; 4) the private self o se’ privato, che attiene al polo soggettivo  dell’agire (sogno o pensieri) 5) the conceptual self o se’ concettuale, il quale corrisponde al livello teorico della conoscenza che ciascuno ha di se stesso e nel quale convergono influenze culturali e la rappresentazione anche degli altri quattro self “ (C.M.Del Miglio,1990).


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